“Darei l'intera Montedison per una lucciola” (Pier Paolo Pasolini)

 

 

La frase scritta da Pasolini nel 1975 pochi mesi prima di morire è riportata da Georges Didi-Huberman

nel suo testo intitolato “Come le lucciole” al fine di immaginare una politica della sopravvivenza, umana.

Mia madre di recente mi ha detto che le lucciole sono tornate, anche in quel che resta della campagna nel quartiere Firmian di Bolzano

dove giocavo da bambino e dove ora tra nuovi palazzi insegno al liceo artistico e delle scienze umane dedicato al poeta Giovanni Pascoli.

A “uomini lucciole” con “parole lucciole”, “immagini lucciole", “pensieri lucciole” … si rivolge il festival CRATere: piccola rassegna di arte umanità e teatro.

Quella luce particolare che nell'arte e nel teatro si può ritrovare è guida di un'umanità di “lucciole”, rari esemplari, o forse moltitudini,

che portano con sé un po' di chiarore in quella che spesso appare una selva oscura, la vita con i suoi problemi, per lo più, a ben vedere, falsi, ovvero, finti,

magari fabbricati ad arte dalla comunicazione di massa. Quest'idea è nata con la rassegna “MONDI” presso il Centro Trevi nel 2003,

quindi con il progetto “META” in cui teatro e arte divengono mediazione in una linea di indagine condivisa da insegnanti, artisti, studenti.

Questo il senso che CRATere vuole dare al Centro Ricerca Artistica Teatrale (C.R.A.T.),

non ricerca astratta o formazione i cui effetti si rimandano al futuro, bensì modello di laboratorio permanente, presente.

Ecco allora la naturale vocazione alla differenza, come forma di sopravvivenza, non certo di esclusione,

ma neppure di inclusione secondo pratiche di comunicazione o di gestione della cosa pubblica conformiste.

Il riconoscimento della differenza è la base del dialogo in una società che ne è di fatto carente, potremmo dire “senza dialogo”.

Verso un “TEATRO SENZA TEATRO” quindi, come pratica intersoggettiva, relazionale, di crescita,

riconoscimento e valorizzazione delle differenze, individuazione.

 

 

Nazario Zambaldi